Marco  Rosellini
  • Home
  • NEWS
  • ABOUT
    • SCRITTI CRITICI
    • CRITICAL WRITINGS
  • Galleria
    • ANNO 2019 >
      • Venezia
      • Terraferma
      • Still life
    • ANNO 2018 >
      • Venezia
      • Terraferma
      • Fantasie
    • ANNO 2017 >
      • Venezia
      • Terraferma
      • Enigmi
      • Fantasie
    • ANNO 2016 >
      • Venezia
      • Enigmi
      • Fantasie
    • ANNO 2015 >
      • Venezia
      • Sotto le nuvole
      • Enigmi
      • Fantasie
      • Cieli stellati
      • Sassi
    • ANNO 2014 >
      • Lagune
      • Riflessi
      • Alberi
      • Fantasie
    • ANNI 2012/2013 >
      • Venezia
      • Valli da pesca
      • Velme e barene
      • Barche
      • Still life
      • Cotàn
      • Disegni di prova
      • Esercizi di Ornato
    • C'era una volta...
  • Concorsi
  • Mostre
  • CATALOGO
  • VIDEO
S               C               R                I               T               T                I                       C               R               I               T               I               C               I
  

Foto
Foto
                                            Alle colonne d’Ercole (*)
 
Conosco Marco Rosellini e la sua pittura da molti anni. Ogniqualvolta lo incontro nella sua casa-atelier mi pare di compiere un viaggio sempre nuovo con gli occhi e con la mente. Sarà la nota dominante del nero che sulle pareti delle stanze scandisce i quadri come  se fossimo in una camera oscura dove le immagini si imprimono e si materializzano in una sequenza regolare di fotogrammi. Sarà l’impressione di entrare in una  sorta di “quinta del Sordo”, la casa, alla periferia di Madrid, che il grande pittore spagnolo Goya ha abitato per alcuni anni, il tempo necessario per dipingere a olio sull’intonaco dei muri, il famosissimo ciclo delle “pitture nere”, strappate poi dalle pareti e ora conservate al Prado.
Nella roccaforte del suo isolamento, Goya ha dipinto figure inquietanti, deformate e mostruose, caratterizzate da una medesima densità cromatica, fosca e scura. Un mondo di follia e di esorcismi. Intendiamoci: nella casa di Marco Rosellini non c’è niente di tutto questo, le sue opere raccontano Venezia, la laguna, la terraferma, i sogni e gli enigmi. Eppure, certi tramonti sulle placide acque di mare o di lago invitano ad una calma apparente, ad una stasi solo provvisoria a cui segue il sospetto che qualcosa succederà. Non ci è dato sapere cosa, è una tensione sottile, vibrante, che prende la mosse da un “Sole pallido” (citando una sua opera), un sole che tante volte ci pare “alchemico”, in attesa di evoluzioni e trasformazioni.
Rosellini è maestro nel suggerirci vie di fuga: mongolfiere, gabbiani, stivali abbandonati, catene spezzate, colonne come propilei dell’anima e natanti come “vascelli” letterari, ci portano ad andare oltre, a superare il limite della nostra condizione. Ogni dipinto è un tassello di una superficie musiva che funge da metafora del vivere, secondo cui la nostra esistenza è perennemente in bilico tra il noto e l’ignoto, tra il certo e l’incerto che presiede ogni cambiamento.  
Trovarsi “alle colonne d’Ercole”, come recita il titolo di un quadro che stigmatizza una poetica e uno stile, significa ambire ad altri orizzonti, aspirare a conquiste che possono trasformarsi in imprese audaci e sfrontate. La presenza ossessiva, in molte opere,  di acqua e di cielo a differenza di una linea di terra meno marcata e ricorrente, testimonia il desiderio di evasione, di libertà, che a volte si chiama immaginazione, altre volte sfida e forse anche hỳbris (nell’accezione greca di orgoglio eccessivo e ostinato).
Rosellini, lucido e ironico, nelle peregrinazioni continue dello spirito, non manca di farci riflettere sul nostro tempo e parla di “sonno della ragione” (e qui Goya ritorna con la sua famosissima incisione) quando tratta il tema delle grandi navi a Venezia, tema più che mai attuale nella città dei Dogi e, aggiungiamo noi, purtroppo, delle devastanti maree.  Con il segno invidiabile della sua acribia monocromatica, con l’intermittenza sapiente di bagliori chiaroscurali che ci piace leggere come evocazioni tintorettesche, il pittore coneglianese costruisce scenari, con architetture reali, continuamente rivissute nelle trame dell’incanto e della metafisica. Le sfumature degli inchiostri accolgono le screziature delle onde e i riverberi dell’aria e quando a reggere il palcoscenico sono le erbe delle isole o gli alberi di un bosco, non vengono meno le sorprendenti e magiche luminescenze. A ricordarci che la vita, dopotutto, è sogno, è bellezza, e nel sogno ogni “uomo è un gigante che divora le stelle” (Carlos Saavedra Weise). 
                                                                                        
Lorena Gava
​novembre 2019

(*) Recensione per la mostra "Alle Colonne d'Ercole" - Galleria Novecento di Palazzo Sarcinelli  - 11 gennaio/2 febbraio 2020 - Conegliano (TV)


​
Foto
Lorena Gava, laureata in Lettere ad indirizzo artistico all’Università degli Studi di Padova, critico e storico dell'arte, è docente di Storia delle Arti Visive presso il Liceo linguistico “Francesco Da Collo” di Conegliano. Collabora con numerose istituzioni per la curatela di eventi espositivi e per conferenze e corsi di Storia dell'Arte. 
​Suoi interventi critici sono presenti in pubblicazioni e cataloghi relativi a personalità del mondo dell’arte nazionale ed internazionale.
E’ consulente didattica dei testi di Storia dell’Arte “Dossier Arte” editi nel 2015 per i tipi Giunti T.V.P. Editori e Treccani. Dal 2014 fa parte del comitato critico di consulenza editoriale del Catalogo dell’Arte Moderna Mondadori. 
​Vive a Vittorio Veneto.

Foto
Foto
Foto
Foto
Foto
                                                  Marco Rosellini
 
La produzione artistica di Marco Rosellini trova pieno sviluppo negli ultimi sei anni, arco di tempo nel quale egli elabora un'assai personale ricerca tecnico-formale frutto di un'intuizione creativa che affonda le sue radici nella giovanile passione per il disegno e nella sua esperienza professionale di designer.
L'insieme delle sue opere abbraccia diversi ambiti tematici, dal paesaggio alle fantasie, dalle allegorie agli enigmi, distinguendosi per le atmosfere metafisiche e per gli inediti punti di vista capaci di indurre associazioni liriche tra i diversi elementi compositivi. Rosellini rielabora suggestioni ricavate da fotografie estrapolandone frammenti di realtà che carica di potenza evocativa.  Significativa a tal fine e di assoluta rilevanza nel corpus della sua produzione, è la serie dedicata all'amatissima Venezia, nella quale gli ampi spazi della laguna, gli scorci degli storici monumenti di San Marco, del Redentore, dell'Arsenale appaiono quali liriche sagome scenografiche di un'atmosfera silenziosa, immobile e quasi sospesa nel tempo. Le navi, i vaporetti, le imbarcazioni spesso si stagliano in primo piano scandendo la profondità dello spazio e rinviando all'inesorabile continuità tra passato e presente.
Atmosfere sospese e surreali contraddistinguono le Fantasie in cui spesso il paesaggio è animato da immagini inaspettate di oggetti, di figure, di architetture reali e immaginarie. Tali sono le mongolfiere che fluttuano nell'aria o le isole di boekliniana memoria che si specchiano nelle acque limpide o si librano nel cielo sfidando inopinatamente la forza di gravità, mentre la decontestualizzazione e il libero accostamento di figure mitiche e di arcani simboli rendono impenetrabili gli Enigmi, in cui l'osservatore è invitato a tentare possibili interpretazioni.
Osservando le opere di Marco Rosellini sorprende la straordinaria resa dell'immagine per la precisione grafica dei particolari e per le perfette stesure cromatiche che nascondono i segreti di una tecnica originale, basata sullo studio delle proprietà chimiche dei materiali. Il medium è l'inchiostro nero dye-based con la sua proprietà di alterare la propria colorazione sotto l'azione di specifici reagenti sequestranti producendosi in un caleidoscopio di variazioni cromatiche.  
Rosellini sviluppa una tecnica unica e riconoscibilissima basata sull'indagine chimica delle sostanze, sulla campionatura degli inchiostri, sulla scelta meticolosa degli strumenti più idonei.  L'inchiostro, la carta, le penne, i selezionatissimi pennelli, perfino l'acqua di diluizione rappresentano gli strumenti fondanti del suo modus operandi. Dall'unità del nero emerge la molteplicità cromatica fino a giungere alla luce bianca della carta sottostante. L'artista, come un antico maestro di bottega, è l'unico depositario del segreto della sua opera grazie alla capacità di governare la materia e alla misteriosa alchimia dei diversi elementi.
Tali considerazioni permettono di comprendere meglio la ricerca di perfezione dell'immagine che anima l'operare di Marco Rosellini e che trova un'ulteriore evoluzione nella produzione più recente, in particolare nelle Periferie veneziane e nei Paesaggi di terraferma. Nelle suggestive vedute notturne di Porto Marghera il punto di vista si allontana, lasciando emergere lo spazio ampio e dilatato del cielo e della laguna, interrotto solo dalle strutture del complesso industriale e dal pullulare geometrico delle luci in lontananza. Gli elementi in primo piano, come una bicicletta o una vecchia imbarcazione, contribuiscono ad alimentare la metafisica sospensione del paesaggio immobile e immerso in un silenzio quasi assoluto. I notturni ad Alleghe o al Lago di Barcis  divengono i momenti per riscoprire la diversa qualità delle luci e dei loro riflessi in relazione allo spazio circostante.
Lontano da qualsiasi effetto scenografico, la nuova profondità atmosferica è generata dai raffinati e quasi impercettibili passaggi tonali capaci di avvolgere le forme e lentamente assorbirle nello  spazio infinito dove la pervadente armoniosa quiete viene magistralmente resa dall'elegante espressività stilistica di questo artista.
 
Roberta Gubitosi
​marzo 2019



​
Foto
Roberta Gubitosi, laureata in Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Padova, ha  conseguito la specializzazione post lauream in Storia dell'Arte e delle Arti Minori. Docente di Storia dell'Arte, ha saputo affermarsi nell'ambiente culturale di Treviso per la sua attività di ricerca nel contesto storico e artistico della città. Significative a tal proposito le mostre promosse dalla Fondazione Cassamarca presso Ca' dei Carraresi di Treviso e le collaborazioni con i Musei Civici di Treviso per la catalogazione del lapidario e delle sculture.
E' autrice di numerose pubblicazioni, cataloghi e saggi critici.
Collabora continuativamente con varie associazioni, enti pubblici e privati per la progettazione di percorsi guidati, l'organizzazione e la curatela di mostre e la presentazione di artisti affermati ed emergenti.
Vive a Casier

Foto
Foto
Foto
                                    Marco Rosellini – Spazi di luce
 
La luce si dissolve nell’intensità degli inchiostri neri. Diventa un bagliore improvviso, uno squarcio nella notte, il riflesso della luna sui canali di Venezia. Nasce l’incanto, la magia, la nostalgica visione di un momento. La pittura di Marco Rosellini  mi appare così. Si svela gradatamente, nel tocco leggero, nel disegno sicuro, nelle velature chiaroscurali che appartengono ad uno stile personale e riconoscibile ed a tanta, sapiente, raffinatezza.
I temi sono  noti: il passaggio spettacolare ed inquietante delle grandi navi in bacino di San Marco, i profili di Porto Marghera all’orizzonte, il contrasto fra la leggerezza delle architetture bizantine e le invasive presenze della modernità. Ciò che spicca però in maniera unica ed innovativa  è la capacità di Rosellini di interpretare il soggetto. La realtà figurativa è l’impronta, la rielaborazione di un dato conosciuto e trasformato dalla sensibilità e dall’esperienza. Lo spazio infinito ed umbratile della laguna  è il luogo più amato ed ogni particolare diventa memoria, tessuto intimo, storia personale e collettiva. Poi tutto cambia, il tempo scandisce l’essenza immota trasfigurata dalle immagini, la quiete pervade ogni dipinto, i neri avvolgono la vita stessa, registrano sottili variazioni umorali proiettandole in un futuro che è già attuale. Il segreto di Marco Rosellini è proprio questo, fissare la sua percezione della realtà come testimonianza indelebile in modo da condurre l’osservatore verso una riflessione continua sullo stato delle cose. Nelle pieghe fluide dei suoi “notturni” l’autore raggiunge esiti altissimi perché c’è l’esigenza di trovare un’identità schietta e vera sui riferimenti della veduta. Il disegno e l’inchiostro nero sono alla base di una ricerca che consente di far emergere l’immagine dal fondo, regola gli aloni ed i riflessi, penetra nei segreti della luce; nella pagina vellutata del ricordo le forme e le figure affiorano come fantasmi incantati. La tecnica diventa così un vocabolario dell’espressione perfettamente integrata alla poesia del tema. E’ un’esperienza, quella di Rosellini, che rende libero il sentimento per Venezia e per l’ambiente naturale, una ricerca densa di significati emblematici, forse anche un atto di denuncia nei confronti di un’invadenza senza controllo che tocca l’anima così fragile della città. Osservo ancora i  dipinti, così struggenti e privi di retorica. Mi allontano commossa.
 
Gabriella Niero
settembre 2018
​

​
Foto
Gabriella Niero, laureata a Venezia in Lettere Moderne con indirizzo in Storia delle Arti Visive all’Università degli Studi di Ca’ Foscari, svolge la sua attività di  libera professionista come consulente per l’arte presso diversi assessorati, enti comunali, associazioni culturali e gallerie. 
E' critico d’arte e si occupa della stesura di cataloghi di arte moderna e contemporanea. Tiene inoltre corsi didattici (Itinerari Veneziani e Storia dell’Arte) in varie associazioni.
E' socia fondatrice dell’associazione culturale Paolo Rizzi, ed è presente come Critico d’Arte nell’Annuario d’Arte Moderna Italiana.
​Vive a Borbiago di Mira​

Foto
Foto
Foto
Foto
Foto
                                                Iperbole veneziana
 
C’è una Venezia di Marco Rosellini che racconta scenari attualissimi, lontani dalle nostalgiche barene o dai frammenti di laguna puntellati di gabbiani. E’ la Venezia delle grandi navi, visione  surreale eppure straordinariamente vera. Il fascino degli inchiostri di cui da tempo il nostro artista ci ha abituati, appare in questo ciclo di lavori ancora più forte e destabilizzante, come se la materia-colore contribuisse ad alterare ulteriormente un palcoscenico che appare già irreale.
Nell’opera del 2016 intitolata appunto “Grandi navi a Venezia”, esiste una correlazione stupefacente tra la lucentezza del cerchio solare, perfetto e numinoso, e il volume scuro e compatto della nave che avanza. Natura e artificio procedono parallelamente, in una sorta di sfida tra mondo celeste e terrestre, evidenziato dal contrappunto cromatico. E’ il nuovo che irrompe o l’aura bizantina che arretra? Oppure è il tragico che imperversa su un passato che si assottiglia sempre più fino a diventare un debole profilo?
Le navi che incontriamo nelle opere di Rosellini ci appaiono come enormi corpi galleggianti, giganteschi meteoriti che ne “Il sonno della ragione” stazionano indisturbati in laguna accanto ai monumenti universali della Basilica di Santa Maria della Salute, capolavoro  seicentesco di Baldassare Longhena (qui descritto con mirabile acribia e perfezione fiamminga) e allo svettante campanile di San Giorgio. Il titolo, ripreso in parte da una famosa acquaforte e acquatinta di Goya: “Il sonno della ragione genera mostri”, offre una stimolante riflessione intorno all’assenza di ragione quale causa di aberrazioni e eventi ripugnanti. Se per il  maestro spagnolo alla base di ogni originale creazione ci deve essere la fantasia, “guidata”, diciamo così, dalla ragione, per impedire il sorgere di abnormità, nel titolo dell’opera di Rosellini ci pare di cogliere lo sconforto per la mancanza di senno e razionalità di fronte ad una scelta, le grandi navi in laguna, su cui si sta interrogando il mondo intero.
E se osserviamo poi l’altro recentissimo lavoro “Fantasia veneziana”, cogliamo nell’immagine  del lucchetto sospeso in cielo, come una sorta di impotente occhio divino, il blocco stesso della fantasia, l’impossibilità del sogno, della libera invenzione e quindi dell’espressione del genio. Ci sono tutti gli attori dello spettacolo che conosciamo: l’astro solare luminosissimo, le acque placide irrorate di riflessi, le quinte architettoniche cariche di storia e di bellezza. L’immancabile luce mai zenitale, tipica del nostro autore, rivolto quasi sempre alle atmosfere serali o aurorali, e comunque in condizioni di lucore parziale, accentua il lato oscuro del pensiero umano complice di questa Venezia irrazionale, esagerata, iperbolica.
Affiora chiaramente dalle carte preziose di Rosellini, il senso di incommensurabilità che le navi da crociera non a torto definite città galleggianti portano con sé, e in rapporto a Venezia, per antonomasia la città edificata sull’acqua, il confronto si fa più serrato e stridente, più acuto e fuorviante. E’ lecito, ci si chiede, che simili bastimenti possano intrecciare gli orizzonti della Serenissima, scombinare le acquisite e consuete prospettive, le storiche coordinate verticali e orizzontali, oltre a determinare impatti ambientali e di inquinamento sicuramente difficili?
Gli incantevoli “Notturni veneziani” del pittore coneglianese se da un lato visti gli effetti straordinari dei suoi chiaroscuri sembrano tranquillizzarci e forse cullarci con lo sciabordio leggero delle onde, dall’altro ci mostrano come la ragione, riprendendo Goya, sia anestetizzata, puramente contemplativa e per nulla reattiva di fronte alle problematiche imminenti.
Certamente una Venezia, questa di Rosellini, che ci appare meno magica dei suoi “Canali al crepuscolo” (2015) e sicuramente meno malinconica delle “Lagune” che anni fa ci parlavano di stivali abbandonati,  come nell’indimenticabile “A domani” (2014),  di reti di pescatori o di casoni avvolti nelle brume corrusche del mattino. Di sicuro una Venezia che ci invita a interrogarci, a  essere spettatori attivi di una scena nazionale e internazionale, e qui davvero la dimensione artistica abbraccia la funzione storica di coscienza e di denuncia che va oltre ogni comune indifferenza. 
 
Lorena Gava  
giugno 2018
​

​
Foto
Su Lorena Gava vedi sopra, al titolo : Alle Colonne d'Ercole

Foto
Foto
Foto
Foto
Foto
Ingo Maurer - "Le lacrime del pescatore"
                                                   Gocce di luce (*)

Soli e Lune negli inchiostri di Marco Rosellini si accendono, alle pareti dello show-room della casa-studio, simili a lanterne giapponesi nell'ombra serale. Si librano immobili nell’aria come bolle di sapone sopra placide onde lagunari o come mongolfiere illuminate dalle fiammate dei bruciatori che le animano. Tutto sembra essere sospeso, in levitazione, sui fogli che hanno accolto le misteriose alchimie capaci di trasformare l’inchiostro nero in una cascata di luci e colori. Di queste alchimie Marco Rosellini ha fatto il modo espressivo della sua arte.
Gocce d’inchiostro stese dal pennello su fondali disegnati ad incontrare grafie sotterranee e a rilasciare trasfigurazioni di paesaggi possibili. Sulla carta si posano mani sapienti nel rappresentare ciò che dicono le voci interiori più profonde, e nel dialogare con le reazioni del nero ai silenzi del bianco e alle corrive trasparenze liquide: esplosioni di luce e colore in una continuità di visioni oniriche.
Le gocce si spandono e liberano i sogni. Un policromo mondo metafisico si spalanca, fatto di tappeti volanti, di spiagge con palmizi, di file di totem su isole al di là dei mari, di gondole in riposo nella nebbia, di uccelli parlanti, di antichi cancelli significativamente chiusi o spalancati sul nulla, di vaporetti che se ne vanno solitari nella foschia mattutina, di stormi di gabbiani in volo, di navi simili a grattacieli del mare, di lune che sbucano da cieli brumosi, di pontili che raggiungono l’orizzonte dove lasciare gli ultimi raggi del sole al crepuscolo, di cavalli che parlano alla luna, di biplani colpiti dall’oro solare che sorvolano torri o che, immersi in un corrusco chiarore lunare volano nella notte verso lontane luci che li attendono, di vele ombrose nello specchiarsi nelle acque, di elefanti in marcia o di mongolfiere che reggono sopra di loro una città, e il tutto, Signori, nel solo nero degli inchiostri che disegnando i paesaggi dell’anima cantano il colore perché la chimica vince l'ombra.

Nello show-room coesiste con i quadri alle pareti un'installazione a soffitto: da sottili reti tese orizzontalmente sembrano staccarsi una miriade di brillanti gocce di cristallo iridescente. Sono Le lacrime del pescatore dice Marco, ma avverte sorridendo che c'è un'antitesi: al contrario di quelle di cristallo che solo se ne lasciano attraversare rifrangendola in una moltitudine di raggi policromi, le sue gocce di inchiostro nero la luce e il colore "ce l'hanno nel DNA".       
 
Francesca Cursi
maggio 2017

(*) Recensione per la mostra personale "I colori del nero" alla Galleria Funzione Arte Neno Moretti - 7/31 maggio 2017 - Paese (TV)


​
Foto
Francesca Cursi, dopo la Laurea in Materie Letterarie all'Università degli Studi di Padova con una tesi di estetica, e il successivo Diploma di perfezionamento in Storia dell'Arte Moderna conseguito presso la stessa Università, ha svolto attività didattica e dirigenziale nelle scuole di Treviso. Tra queste il Liceo Artistico Statale in cui è stata docente e preside.
Dalla conclusione della sua carriera scolastica è attiva come curatore, editor e critico d'arte. Promuove dibattiti, seminari e convegni su argomenti di interesse artistico e culturale. Scrive con continuità su quotidiani e su riviste d'arte e di informazione.
​Vive a Quinto di Treviso

Foto
Foto
Foto
                                                Inchiostri veneziani
 
Marco Rosellini è approdato solo da pochi anni alla pittura concludendo in tal modo un itinerario che lo ha visto operare professionalmente nel design con risultati brillanti ma, per forza di cose, condizionati dalla necessità di adeguare la propria creatività a quanto imposto dalle esigenze del lavoro. Una volta affrancatosi da simili vincoli, si è trovato di fronte a scelte personali decisive, ossia a quali temi dedicare i propri interessi etici e figurativi e con quale stile realizzarli, compresi i mezzi tecnici che, dello stile, costituiscono una componente essenziale.
È nata così una pittura di storia e di atmosfera, o meglio di un’atmosfera proiettata nella storia, una storia fatta di fantasia e di memoria, uno stile figurativo che sfiora con ali lievi il fantastico e la dimensione del sogno.
​Dal punto di vista tecnico l’opzione prescelta è stata per gli inchiostri idrosolubili dye-based neri. Medium che con l’impiego di opportuni reagenti consente infinite varianti cromatiche in un insieme improntato a struggenti accenti serotini.
Dopo essersi soffermato per qualche tempo su un dettagliato quanto raffinato realismo, l’interesse dell’artista si è successivamente concentrato su Venezia, raffigurata al tempo stesso come realtà contemporanea con l’incubo delle navi oceaniche che invadono la Laguna, ma soprattutto, e nonostante questo, come luogo della  memoria e del sogno, avvolta da una nostalgica malinconia. Sono lavori di altissima concentrazione nel corso della quale vengono progressivamente eliminate le notazioni del giorno, i particolari del movimento, la scomposta presenza di turisti. Su tutto cala un memore silenzio di antiche glorie, l’aria pare fermarsi e solo raminghe nuvole scandiscono gli spazi del cielo. L’animo dell’artista assorbe nella quiete dell’ora le reminiscenza del passato, la magia di una città che ha consumato gran parte del suo destino con l’Oriente donde ha tratto sete e spezie rare, ma anche miti e leggende e, soprattutto, un diverso senso della vita. Rosellini trascrive sulla carta tali sensazioni fornendo loro un luogo di rivissuto splendore, che non è fatto di clamori, di ori, di argenti e di pietre preziose, ma della celebrazione di un rito profano capace di ricreare un passato che in lui rivive di sentimenti e di romantiche immagini, che sfumano la consistenza delle forme dei marmi e delle architetture per imprimersi nel ricordo di un tempo che qui, nel susseguirsi degli inchiostri si rinnovella, onde tutto, anche i tappeti volanti e le mongolfiere, trova giustificazione se ha la capacità di sedurre chi osserva e vede attraverso gli occhi di Rosellini. L’artista non è solo l’osservatore delle acque, dei cieli e degli edifici della Laguna, ma il mago che li riporta a nuova vita durante le sue notti insonni. Sono fantasmi che vivono durante l’imbrunire e la notte e che il chiarore solare cancella, ma essi - lo sappiamo - sono destinati a ricomparire giorno dopo giorno sotto la mano dell’aedo della Laguna, della «regal Venezia i cui Dogi, re senza dinastia» sono stati protagonisti della storia di una città incomparabilmente affascinante e ancora palpitante nel ciclo incessante delle sue maree, dei suoi tramonti e delle sue nebbie.
Di Marco Rosellini di potrebbe dire quel che scrisse Jorge Luis Borges dell’amico Leopoldo Lugones: «Uomo solitario e superbo». Rosellini è solitario perché la sua arte è elitaria ed è superbo per la cifra stilistica della sua opera: superba, appunto.
 
Aldo Maria Pero
maggio 2017

​

Foto
Aldo Maria Pero ha conseguito le lauree in Lettere moderne e in Filosofia all'Università di Genova, presso la quale ha iniziato la carriera universitaria (*) che ha concluso alla Berkeley University of California. Dopo il suo rientro in Italia, nel 2010 ha fondato il Movimento Arte del XXI Secolo e, con esso, l'omonima rivista. Attualmente svolge un'attività molto intensa di curatore, di critico d'arte e di promotore di eventi artistici in Italia e all'estero. Vive a Savona.

(*) Aldo Maria Pero è stato ​Incaricato di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università di Genova, Visiting Professor di Storia dell’Arte italiana a Parigi presso la Sorbona, Ordinario di Storia dell’Arte Contemporanea all'Università di Heidelberg, Visiting Professor di Storia dell’Arte Contemporanea alla Ann Arbor University of Michigan, infine Ordinario di Storia dell’Arte Contemporanea e poi Direttore del Dipartimento di Storia dell’Arte alla Berkeley University of California.
​
Foto
Foto
Foto
Foto
Foto
Foto
Foto
Foto
Foto
Foto
                                                   Marco Rosellini 
                                                 "Punti di vista" (*)

«Assiso su un alto picco, posto tra Oriente ed Occidente, ho potuto riguardare mondi diversi ma altrettanto interessanti». Con queste parole Johann Wolfgang von Goethe illustrò il ciclo di poesie “Divano occidentale-orientale” all’amico Joseph von Hammer. Più tardi aggiunse che «la contemplazione serena della mobile attività dei viventi, che si ripete sempre in cerchio o a spirale, è un’inclinazione che ondeggia tra due mondi: tutto il reale spiegato e risolto nel simbolo». Goethe scrisse per amore di una bella fanciulla, Marianne von Willemer; anche Rosellini dipinge per amore, non di una donna, ma della più affascinante città del mondo, Venezia. E lo fa come già D’Annunzio ne ”Le città del silenzio”, in tono di mesta e memore laude. La Venezia della sua vocazione orientaleggiante nei costumi e nell’arte rivive così nelle pinte carte del suo ultimo cantore che nei tramonti lagunari sa vedere e sognare le glorie di un passato incomparabile e trasmettere il profumo non spento di un’età seducente quanto irripetibile.

Aldo Maria Pero 
gennaio 2017

(*) Recensione per il catalogo della mostra "Punti di vista" alla Moor House nella City di Londra - 31 gennaio/14 febbraio 2017.

​

​
                                                Marco Rosellini  (*)

Marco Rosellini, come molti suoi colleghi, è giunto tardi alla pittura e si è scelto un campo singolare di impegno, quello dell’inchiostro nero su carta, un’arte con molti e nobili precedenti in Oriente ma assai raro in Occidente. La delicatezza cromatica fondata sul nero con le infinite nuances ottenibili per mezzo di un vasto repertorio di risorse tecniche, gli consente di realizzare atmosfere particolari, ricche di suggestione. La magica Venezia, come l’ha definita, è il principale soggetto della sua attività che varia dalle malinconie notturne che predominano in certi scorci ad opere nelle quali emergono tracce surreali, le stesse che avevano informato l’opera di René Magritte, l’autore cui in un'opera fa esplicito riferimento.
Raffinatezza, delicatezza d’intenti, padronanza dei mezzi, sicurezza d’esecuzione sono le caratteristiche principali di un lavoro fondato sulla qualità e non sulla vastità della produzione. Una produzione, si è detto, legata alla rievocazione della città d’elezione com’è oggi e com’era nel suo illustre passato. A questo che costituisce il nucleo della sua produzione, Rosellini aggiunge inchiostri allusivi di altri mondi e di diverse dimen­sioni dell’umano oppure, in lavorI di grande fascino, le rievocazioni del Barone Rosso, il grande pilota tedesco della Prima guerra mondiale, dell’uomo vitruviano di Leo­nardo da Vinci, e di Odisseo nell'interpretazione che di lui si legge nella Divina Commedia.

Aldo Maria Pero
settembre 2016

(*) Recensione per il catalogo della mostra "IV Memorial Sandro Pertini" Palazzo della Provincia di Savona - 23 settembre/2 ottobre 2016
​
​

                                                    Marco Rosellini
                                            "Passaggio in Laguna" (*)

Marco Rosellini dopo una vita dedicata all’architettura e al design ha compreso che la sua più autentica vocazione è la pittura, dalla cui seduzione si è lasciato attrarre da pochi anni ma già con i notevoli risultati che una dimensione artistica inedita, intensa e raffinata gli ha saputo conseguire. Senza la disperazione esistenziale che ha influito tragicamente sulla vita di Vincent van Gogh, si può affermare che i due artisti sono affratellati dal medesimo rapporto fra la propria natura ed il proprio lavoro. La vita dell’olandesi si era interamente trasferita nei suoi quadri, che erano il suo essere profondo, lo scopo della sua vita. Quando si rese conto che ciò che dipingeva si era esaurito come ragione di vivere, che non c’era più nella da trasferire su una tela, abbandonò la pittura e con essa la sua vita. Tragica fine cui l’equilibrio di Rosellini gli impedisce anche solo di pensare, ma è indubbiamente vero che il pittore veneto non pone barriere fra sé e i propri lavori. Rosellini è quel che dipinge. Quando i suoi inchiostri, quando le sue delicatissime monocromie passano dallo spirito alla carta egli è in quel gesto. Quando dipinge il malinconico tramonto della sera veneziana non rappresenta la città lagunare ma se stesso e se stesso è il segno che traccia per trasfigurare la Venezia magica di tante sue carte.

Aldo Maria Pero
luglio 2016

​(*) Recensione per il catalogo della mostra "Passaggio in Laguna" - Venezia Palazzo Priuli Bon - 29 luglio/7 agosto 2016 
​


                                                    Marco Rosellini
                                              Saluto di benvenuto (*)

Il Gruppo Artistico del Movimento Arte del XXI Secolo dà il benvenuto a Marco Rosellini, il cui esprit de finesse non rievoca Blaise Pascal ma un poeta della notte come Novalis o un pittore delle silenti solitudini come Caspar Friedrich. Dell’uno ha il senso della notte incombente con i suoi fantasmi, gli echi lontani, la ritualità degli Elfi; dell’altro possiede la capacità di caricare d’infinito visioni che scavano nell’anima e pongono l’individuo a contatto con se stesso e la storia. L’immensa solitudine dell’uomo si carica del senso di appartenere ad una lunga vicenda che lo assorbe sin dalle epoche più lontane. Allo stesso modo dei predecessori tedeschi, Marco Rosellini diviene il cantore della Laguna veneta nei cui tramonti, nello scolorare delle luci e nell’avanzare delle ombre serotine, avverte un’anima in cammino dall’eternità verso il presente, leopardianamente vivo e proiettato nella memoria. Infatti, non canta Venezia ma ne interpreta lo spirito e la secolare vicenda, ne comprende la densità dei ricordi e degli echi che da lungi passano sui suoi ponti, sulle sue chiese, sulle sue acque. E questa rievocazione è colma di struggente malinconia, quella che ispira le tinte smorzate di una tavolozza particolare per scelte cromatiche e per stile, un realismo che nel farsi segno si trasforma in leggenda.
Benvenuto, Marco.  
​         
Aldo Maria Pero
​giugno 2016

(*) Recensione di presentazione e benvenuto al Gruppo Artistico del Movimento Arte del XXI Secolo.
​




                                                  Marco Rosellini
                                                   Introduzione (*)
 
La lunga frequentazione che Marco Rosellini ha avuto con l’arte si è qualificata al livello più alto solo negli ultimi anni, a partire dal 2013. Non stupisce quindi che i contributi esegetici alla sua opera siano pochi. Due di questi, quelli di Licio Damiani e Fabio Franzin, partono da un analogo spunto, ovvero la sorpresa di chi, chiamato a far parte della giuria di un Premio di pittura, ha inopinatamente modo di trovarsi di fronte l’opera di un artista dalle caratteristiche tecniche molto particolari. Tale felice combinazione ha dato vita a due interventi che per una sorta di "simpatia" intesa nel senso etimologico del termine, hanno molto intuito dello spirito e della personalità del destinatario privilegiando nella proprie disamina le loro consentaneità artistiche per quanto sviluppate in campi diversi. Hanno ad esempio intuito le sorgenti contenutistiche di Rosellini, intessute di riferimenti colti ma sviluppate in precise cadenze personali. Hanno inoltre sottolineato gli echi poetici e addirittura musicali contenuti in certi scorci nei quali la veduta fisica si espande verso una spiritualità pagana che approda, fra tradizioni gnostiche e influenze orientali, all’assolutizzazione dell’elemento oggetto d’attenzione. Dalle poche, ma curatissime opere del suo repertorio, promana un canto lungo, una sorta di meditazione metafisica che trasforma in pure idee la materialità delle cose rappresentate. Lo ha perfettamente intuito Fabio Franzin quando ha rimarcato come «l’opera di Rosellini, apparentemente figurativa, muove un discorso che dalla tangibilità del realistico si stacca verso un immaginario che, sfiorando le ali dell’onirico, si apre a un altrove che sa essere palpabile pur mantenendo intatta la sua scivolosa inafferrabilità».
Meno coinvolto sul piano personale, Licio Damiani si sofferma con acute osservazioni non tanto sull’impostazione generale dell’opera di Rosellini quanto piuttosto sulle singole opere, che commenta nella loro concreta visibilità, ad esempio il Canale della Giudecca, come meglio non si potrebbe fare: «Splendida nel Canale della Giudecca è l’accoppiata frontale tra il rimorchiatore chiaro e la nave ferrigna, campita sulla distesa lagunare chiusa a destra, in lontananza, dalla torre del Mulino Stucky. Splende sull’acqua una luce abbagliante, si spalanca nel cielo bigio di nubi un ampio squarcio rossigno proiettato dal disco del sole calante. Il movimento delle due imbarcazioni verso l’osservatore ha ritmo epico, evoca con impianto monumentale un possente canto del mare».
Lorena Gava, dopo una serie di interessanti osservazioni, conclude il suo apporto critico con una considerazione riassuntiva: «Marco Rosellini dà prova di una sapiente regia tecnica e compositiva, di un repertorio di immagini  sempre misurato nei toni, mai gridato e per questo capace di impressionare, di suggerire continuamente nuovi orizzonti di senso e di condivisione».
La sostanziale consentaneità di giudizio fra i tre autori delle note esegetiche è non solo molto rara ma assai significativa del fatto che la personalità artistica di Rosellini è talmente rilevata da imporsi a coloro che l’hanno affrontata tanto da esserne influenzati come fossero stati presi da una malia che hanno trasmesso ai loro scritti. In ogni loro riga abbiamo la fortuna di non leggere nessuno dei luoghi comuni che attualmente imperversano negli interventi dei critici mediocri: nessun qualunquistico ricorso alle "emozioni", parola che qui non è dato leggere, e ai "cromatismi", e questo è probabilmente merito del pittore che col colore ha un rapporto molto particolare, tanto che potremmo definirlo come variazioni monocromatiche. Del resto, l’atteggiamento critico da assumere a proposito di Rosellini parte dall’individuazione di una personalità umbratile nelle sue esternazioni e saldissima nelle proprie concezioni. Intorno a questo centro ruota il vario manifestarsi delle diverse scelte realizzative, che si riconducono ad unico centro ispiratore intuito da Novalis, ossia la «malinconia delle ombre», quello stato di «sovraeccitazione spirituale che consente di vedere la realtà delle cose non falsata dallo splendore del sole, capace di creare ombre che trasformano un pigmeo in un gigante». Il poeta tedesco soggiungeva che la ragione per cui in tutte le religioni esiste la celebrazione del sole consiste nel fatto che l’astro meridiano acceca ed impedisce l’uso della ragione per concludere: «è chiaro che la poesia [e la pittura che alla poesia è legata] non deve suscitare affetti. Gli affetti sono semplicemente un che di spiacevole come le malattie». Nella pittura dell’artista veneto non ci sono così falsi giganti ma la minuziosa essenzialità di preziosi particolari che vanno dal loro insieme fisico all’unicum spirituale.
La propensione ad osservare il mondo orientale ha evidentemente indotto Rosellini a dipingere con l’occhio rivolto anche a concezioni estetiche lontane dal razionalismo occidentale ed egli avrà senza dubbio osservato che il rotolo di un pittore cinese o, sia pur in modo diverso, giapponese è in realtà una forma di meditazione prima di trasformarsi in atto estetico. Insomma, una sorta di preghiera che riconosce l’immanenza di un panteismo ch’era stato un filone d’indagine del neoplatonismo ellenico e di quello più tardo ripreso da Gioacchino da Fiore e trasmesso alla Rinascenza, anche in discusse pagine di Nicola Cusano. Certamente era stato un sostrato delle opere di Leonardo da Vinci che, non a caso, Rosellini celebra in un inchiostro di particolare interesse.
Siamo di fronte ad una produzione delicata, non solo in quanto affidata alla carta e ad inchiostri facilmente deperibili, ma condizionata dagli orizzonti estetico-culturali dai quali nasce. Esaminando la produzione di un artista la prima preoccupazione di un critico consiste nell’inquadrarlo in un àmbito stilistico, operazione che in questo caso risulta impossibile. Se infatti è fuor di dubbio che il pittore si muove secondo criteri realistici, è altrettanto chiaro che le sue intenzioni non sono descrittive ma interpretative della realtà. In lui prevale infatti una facies che si colloca a mezza strada fra il realismo e l’astrattismo, gli opposti termini di una pluridecennale querelle tra chi sosteneva, come Picasso, di poter riprodurre solo il visibile e chi teorizzava, come Mondrian, l’esistenza di infiniti mondi oltre il visibile. La soluzione di Rosellini è singolare. Accoglie il fascino della veduta, colta in tagli scrupolosamente studiati, e la carica di significati che si ascrivono al mondo dell’intelligenza intesa nel senso latino di "comprensione". Non si tratta di un problema di collocazione ma di lettura profonda. Occorre in altri termini comprendere cosa l’artista vuol significare in ognuna delle carte disegnate. In linea di massima si tratta di penetrare un senso desolato della natura con le sue ombre, le luci smorzate, i mistici silenzi; e al proposito c’è chi ha correttamente citato L’isola dei morti di Arnold Böcklin e avrebbe anche potuto ricordare il Paesaggio con un castello in rovina o addirittura l’allucinato simbolismo di Franz von Stuck. Ma Rosellini ha altre risorse, che sono quelle dei fiori nei quali rivive lo spirito di antichi pittori cinesi e le rapsodiche incursioni in sottili contesti culturali nei quali si introduce con lo spirito di chi, consapevole dei limiti della propria humanitas fatta di intelligenza, di razionalità e di curiosità ma anche di debolezza, si trova ad essere, rimanendo fuori dalle immagini, nella stessa posizione dei protagonisti di molte tele di Caspar David Friedrich: individui soli e perplessi quanto eroici sul ciglio della roccia di fronte all’immensità del mare, testimoni dello sconvolgimento di titaniche forze che infrangono i ghiacci eterni oppure di fronte ad un cimitero abbandonato.
Nelle immagini che compongono questo catalogo, la materia di riflessione, data per scontata l’eccellenza tecnica dell’autore, è distribuita in diversi nuclei tematici che sono insieme un corpus artistico e un’autobiografia intellettuale.
I soggetti privilegiati sono sostanzialmente due: uno di carattere più realistico che comprende il tempo e l’atmosfera di Venezia e del Delta. Fra le vedute veneziane risulta interessante Magia veneziana, che ha probabilmente tratto il suo titolo da Il tappeto magico (1880) di Viktor Michajlovič Vasnecov dal quale Rosellini ha derivato la precisa citazione del tappeto volante da lui collocato sulla laguna. Il secondo elemento d’indagine contiene invece le escursioni in altri mondi e in ordinate fantasie indirizzate a tematiche che trovano in René Magritte, destinatario di un omaggio, un punto di riferimento, dal quale viene escluso un gruppo di inchiostri che si riferiscono alla condizione umana, spinta dal desiderio di conoscere e trattenuta da colonne d’Ercole superabili solo con l’immaginazione e gli aliti della speranza.
Appartengono al primo gruppo, in una prima sezione i tre Vischi, Luci e ombre e Nel bosco; in seconda, i nove fogli dedicati a Venezia, in terza, i cinque che illustrano il Delta e i Sassi, opera di mistificatorio realismo. Il secondo gruppo si compone di poche straordinarie opere legate a filoni comuni d’indagine o di pezzi unici  come l’essenziale e lineare surrealismo di Riflessi autunnali, un inchiostro nel quale si evidenzia il contrasto della foglia morta sulla sedia e la vitalità della fanciulla, di cui però è rappresentato solo il riflesso. Di grande interesse risultano le opere che accennano ad un possibile intervento da un cielo misterioso e che vede impegnate delle mongolfiere che rievocano la Golconda di Magritte con i suoi tanti omini che calano dal cielo. Altrettanto significativo è Ciao Magritte, che costituisce una citazione de Le chateau des Pyrénées, ispirato ad un racconto di Edgar Allan Poe e che nella versione di Rosellini non si libra nell’aria per virtù propria ma sostenuto da una mongolfiera, un’immagine a lui cara e che ritorna in Presenze  e  in Alle colonne d’Ercole, sempre a simbolo dei soccorsi necessari all’uomo per comprendere il mondo che lo circonda ed esorcizzare i propri limiti.
Un valore particolare va attribuito a Leonardo, non tanto per l’esecuzione, quanto per il suo proporsi quale quintessenza dell’umanità secondo i valori metaforici contenuti nel disegno in cui il grande maestro rinascimentale dava immagine al pensiero di Nicola Cusano circa l’essenza dell’individuo, somaticamente perituro ed animisticamente eterno poiché la sua anima ha natura angelica. Qui, come sottolinea l’artista contemporaneo, nell’inserire il disegno dell’uomo vitruviano alto sulle colonne d’Ercole, il simbolo diventa trasparente: l’unione del quadrato che rappresenta la Terra e del cerchio ch’è simbolo dell’universo esalta la natura perfetta della creazione divina che garantisce l’unione fra arte e scienza, senza contare che gli elefanti all’orizzonte ricordano che secondo Buddha questo animale rappresenta la saggezza.
Allo stesso ardore di conoscenza riconduce, in termini figurativi similari, Odissea, mentre Fantasia al Vittoriale, la residenza principesca di Gabriele D’Annunzio, è un divertissement che, con un insolito brillio cromatico, rievoca il protagonista di una stagione della storia e del costume italiano colto in una sorta di romantico rapporto Tod und Leben rappresentato dall’aereo del valoroso pilota e una rievocazione in basso de L’isola dei morti di Böcklin.
L’opera di Marco Rosellini si colloca in posizione eccentrica rispetto all’attuale panorama delle arti figurative per il fatto di essere estranea ad ogni scuola o corrente e per rappresentare, in un mondo nel quale dominano l’urlo e l’esibizionismo, una posizione lodevolmente démodée.

Aldo Maria Pero
giugno 2016
​
(*) Testo introduttivo per la monografia "Marco Rosellini - I colori del nero" agli interventi critici di Licio Damiani, Lorena Gava e Fabio Franzin.
 


Foto
Foto
Immagine
Foto
Foto
                                              Lagune e memoria (*)
 
Quando penso alla pittura di Marco Rosellini penso ad un universo struggente, malinconico e nostalgico. Non so se dipenda dal fatto che compare spesso Venezia al tramonto o avvolta nella nebbia con le gondole scure e gli scenari architettonici velati di grigio. Sta di fatto che una luce zenitale è assai improbabile: vige l’impero del crepuscolo nutrito delle ombre della sera e dei profili della notte. Anche laddove lo sguardo abbraccia la laguna e le barene, non viene meno l’orizzonte cenere di terra, di cielo e di acqua.
Complice sicuramente la scelta degli inchiostri cromatici neri, tecnica singolare che consente di realizzare una stimolante variazione di monocromi, degna dell’antica grisaille  e capace di stupire per  gli effetti trompe l’oeil. Mi riferisco in modo particolare alla  magistrale esecuzione de Il Delta a Comacchio, in cui la rete spezzata e interrotta costituisce una scacchiera mobile di incredibile veridicità e “concretezza”.
Marco Rosellini crea prospettive evidenti, il tratto sicuro e fermo delinea contorni sempre riconoscibili. Frequenti sono le profondità di campo, gli spazi dilatati, e particolarmente felici risultano, a mio avviso, le incursioni nei territori anfibi legati a zone palustri semi-abbandonate, nelle quali è possibile rintracciare un passaggio umano da poche ma carismatiche presenze, come gli stivali di gomma capovolti e appesi in A domani. Le zone di acque ferme e stagnanti nutrite di vegetazioni modeste e sfibrate solitamente emergono dall’onnipresente linea d’orizzonte, limite terrestre e razionale che impedisce ogni sfaldamento e qualsiasi possibilità di astrazione.
C’è un alfabeto di segni ricorrenti, una grammatica fatta di elementi essenziali, ridotti al minimo: una foglia, un ramo, una zolla di terra emersa rappresentano talvolta gli ingredienti di una visione mistica, intervallata di parvenze e proiezioni, che a fatica resiste e sussiste dentro l’impianto logico della rappresentazione.
L’anelito di mistero, di non visto o taciuto, costituisce l’aspetto intrigante e coinvolgente della porzione di mondo scelta, dello spartito oggettivo elevato a simbolo, a condizione interiore carica di liricità.  Spesso l’artista ricorre a sineddochi visive, in cui la parte e il particolare si caricano di valenze allusive forti e totalizzanti da cui si evince la preferenza agli oggetti, agli amati brani architettonici che diventano scenari improvvisati o addirittura metafisiche e surreali invenzioni in paesaggi naturali esotici e desertici.
Capita così che favolose mongolfiere popolino i cieli assumendo talvolta la consistenza di un  masso compatto di sapore magrittiano, sospeso nel vuoto pneumatico di esistenze flebili e sfuggenti.
Recentemente ha fatto la sua comparsa un tappeto volante (Magia veneziana), memoria fiabesca di un oriente che Venezia conosce benissimo e accoglie nei vapori densi delle sue nebbie insieme a un campanile di intonazione gotica che ne ricorda la straordinaria multiculturalità e vocazione artistica. Altrettanto recentemente l’utilizzo dell’inchiostro nero sottoposto a decolorazioni specifiche, ha fatto emergere luci inaspettate, bagliori dorati e aranciati in perfetta aderenza con certi tramonti i cui riflessi rimandano alle sete bizantine cangianti e preziose. Seppur illuminata, Venezia rimane ugualmente “monocroma” e monocorde, sorda e opaca, a conferma di una cifra stilistica autentica e ricorrente. Potrebbe essere anche una città senza tempo ma il traghetto davanti a San Giorgio o le imbarcazioni nel canale della Giudecca ci riportano ad un presente vivo e noto ma pur sempre carico di arcane armonie e invisibili richiami.
A ben guardare questi mezzi di trasporto appaiono vuoti ed enigmatici, involucri galleggianti privi di conducente, propaggini metalliche di edifici lagunari pervasi dal silenzio e quasi calate sulle acque immote come le mongolfiere sospese in aria (inconsci rimandi a partenze desiderate, a destinazioni mai raggiunte e compiute solo nell’immaginazione con mezzi impossibili e fantasiosi?).
Vige sempre un’atmosfera lieve, rarefatta, pacata e controllata. E forse anche gli sprazzi di luce e di azzurro ceruleo funzionano come le ombre delle piazze dechirichiane, ombre fuori e oltre qualsivoglia tempo fisico.
E che dire dei bellissimi boschi intervallati da spiragli di luce nell’oscurità della vegetazione fitta, scandita da fusti alti e svettanti simili a cattedrali innalzate nel verde? Commuove il riverbero del sole sui rami esili, sugli arcipelaghi di foglie dagli echi giapponesi, nutriti delle stesse trasparenze dei delicati vasi di vischio, profondi episodi di nature morte estremamente selezionate e indugiate nelle bacche simili a lucciole di madreperla.
Marco Rosellini dà prova di una sapiente regia tecnica e compositiva, di un repertorio di immagini  sempre misurato nei toni, e per questo capace di impressionare, di suggerire continuamente nuovi orizzonti di senso e di condivisione. I suadenti trapassi chiaroscurali compongono accordi timbrici sorprendenti in cui lievitano grafie colte, mai banali, che accarezzano lo sguardo e sfidano ogni indifferenza perché toccano le inquietudini e gli avvallamenti dello spirito nei labirinti del tempo e della memoria. 
 
Lorena Gava
​marzo 2016
​
(*) Testo critico per la monografia "Marco Rosellini - I colori del nero" 
​

​ 
Foto
Su Lorena Gava vedi sopra, al titolo : Alle Colonne d'Ercole

Immagine
Foto
Immagine
Immagine
Foto
Immagine
Immagine
Immagine
Immagine
Immagine
Immagine
Immagine
                                L’incantesimo delle lagune venete
​                                 
negli inchiostri di Marco Rosellini

Nelle opere di Rosellini paesaggi ideali senza tempo risalgono dalle profonde latebre dell’inconscio. Raffigurazioni visionarie di sogni creano fantastiche sinfonie visive.
Non conoscevo affatto l’artista trevigiano quando, nell’ottobre scorso, avevo ammirato una sua opera al 26esimo Premio Nazionale di Pittura “Piero Della Valentina” di Cordignano, della cui giuria facevo parte. La Fantasia al Vittoriale mi aveva letteralmente affascinato. La sospensione arcana del promontorio di cipressi scuri affacciato sulla  luminosità del Lago di Garda, dominato dallo scorcio della regale dimora di Gabriele d’Annunzio, mi era parsa ricordare la rapsodia miticheggiante di respiro letterario e la concisa maestosità del sublime scenario con cui Arnold Böcklin compose la famosa Isola dei morti. Il sorvolo di un aereo a doppia ala degli anni Venti accentuava la magica aura fabulatoria. L’opera sbaragliava, a mio parere, per eleganza di tratto e per arcana forza emotiva, tutti gli altri 160 dipinti, i 54 acquerelli e le 26 grafiche partecipanti al concorso. Purtroppo, dopo un confronto anche acceso, seppur pacato nei toni,  con gli altri giurati  la Fantasia è finita ex aequo al quarto posto. Comunque per me è rimasta un prezioso caposaldo.
Il secondo incontro con l’arte di Rosellini è avvenuto in dicembre alla Collettiva di  Natale organizzata a Udine dalla Galleria La Loggia. Rinnovava la seduzione magica una sua fiabesca Magia veneziana.  Da brume tenute su morbide  modulazioni di grigi affiorava un campanile (forse di San Giorgio, ma quasi trasfigurato in uno dei pinnacoli neogotici del Mulino Stucky). In primo piano si stagliavano le sagome nere di alcune gondole attraccate alle bricole come fantasmatiche apparizioni. In alto nel cielo un tappeto volante trasportava una coppia di amanti verso chissà quali  favolosi lidi. La forza d’attrazione del disegno è stata tale che, una notte, ho finito addirittura per sognarlo.
Un esame ancora più ampio di una parte importante del corpus creativo di Rosellini mi è stato infine offerto in gennaio dalla sua personale a Ca’ dei Carraresi di Treviso intitolata I colori del nero. Il nero è quello degli inchiostri cromatici usati  (Pelikan, Parker, Lamy, Diamine su carta Canson Montval). Neri che, trattati con decoloranti o altri reagenti, assumono nuances giallo-solari, ramate, blu-oltremarine, addirittura bianco-abbaglianti, creando smaglianti e misteriose armonie chiaroscurate.
Sono opere che svolgono sofisticate variazioni su temi marittimi. Spunti tratti da un mondo reale, immagini della memoria mutate oniricamente in “limbi metafisici” come li definisce l’artista. L’accostamento di elementi dissonanti crea impressioni di spiazzamento concettuale, d’inquietanti silenzi e di vuoti sospesi in stranianti malie. Ma anche affondo in una ricerca di senso “altro” delle cose, dell’anima segreta che le illumina di una luce aliena.
Il solito campanile neogotico e una cupola basilicale svaporano nella nebbia, serrati in primo piano da una schiera di gondole ormeggiate, e sembrerebbero derivare da una pagina di Hugo von Hoffmannstahl, dando immagine visiva all’annotazione dello scrittore viennese decadente ed esteta: “Si deve nascondere la profondità. Dove? Nella superficie”: Un’immersione, insomma, negli abissi e nei vortici esistenziali, scanditi come da una stanchezza malinconica, da una lieve angoscia dell’inesprimibile.
Il bric-à-brac di elementi figurativi tratti da culture, stili ed epoche diverse,  con il quale l’artista allestisce messe in scena d’impianto teatrale, danno origine a immagini criptiche in “salsa esotica”. L’inserto del monolito, tratto dal film di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio, sul foglio con un portale segnato da due pilastri, terminanti in capitelli a forma di vasi con coperchio di tipo settecentesco, che sorreggono un cancello di ferro chiuso a sipario sulla laguna, circoscritta all’orizzonte da una lingua di terra con palmizi, sembra farsi - richiamando il giudizio del regista del film - la rappresentazione di un’esperienza visiva “che aggiri la comprensione per penetrare il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio”.
​Ed è un contenuto che sottintende - forse - il turbamento provocato dall’impulso alla ferinità selvaggia nella storia umana.
Il medesimo impianto scenografico compare in altri fogli, ma con alcune varianti. Nell’opera, intitolata Leonardo, al posto del monolito, una gabbia a sfera che cita la scultura lignea di Mario Ceroli, con all’interno l’Uomo disegnato dal maestro della Gioconda, alita nel cielo esprimendo un’arcana oggettualità ambientale. Un'altra vede l’inserimento di tre mongolfiere che sorvolano la laguna, allusive - spiega Rosellini - alle caravelle di Cristoforo Colombo dirette verso terre incognite - sulle quali si delineano i profili di due elefanti - da intendere anche come icone evocanti il superamento ideale delle Colonne d’Ercole da parte dell’Io, dell’Es e del SuperIo.  Galleggiano in prospettiva le mongolfiere nell’aria temporalesca sopra due colonne terminanti nel controluce di statue d’angeli barocchi, che paiono indicare il confine fatale di un misterioso “altrove”. Gli aerostati viaggerebbero così oltre i confini della pittura meramente figurativa per approdare alle insidiose lande dell’inconoscibile contrassegnate dal motto Hic sunt leones.
Il capitolo delle Lagune si arricchisce di altri temi. C’è la casa che emerge solitaria dall’acqua, forse ultima superstite di un paese sommerso, avvolta da un silenzio turbato, e in cielo un aquilone porta un tocco di favola stregata. C’è la valle da pesca con il controluce dei pali che sorrreggono le reti stese ad asciugare e gli stivali di un pescatore, a lasciar intuire come un’ombra umana. C’è il masso gigantesco che regge sulla cima un gruppo di case e pare uscito da una saga truculenta.
Altro soggetto chiamato dall’artista ad animare le sue visioni lagunari è la citazione del Teatro del Mondo, progettato nel 1979 dell’architetto post-moderno Aldo Rossi. Costruito in legno e in elementi metallici l’edificio, come una zattera o una barca, galleggiava nel bacino di San Marco, tra la Piazzetta, Riva degli Schiavoni, punta della Dogana, il Mulino Stucky, sintetizzando nella struttura la teatralità architettonica della Città Ducale. Teatro veneziano legato all’acqua e al cielo - così lo descrisse l’autore - che ripeteva nella composizione i colori e i materiali del mare, diviso in due parti, corrispondenti alla platea e alla balconata, contenute esternamente in un poligono ottagonale terminante in una sorta di campanile, o di minareto, e in un quadrato poggiante su una zattera, a portare una trama d’immagni, di sensazioni, di memorie.
Rosellini ha inserito il Teatro in un corale romantico tra voli di bianchi trampolieri. In un altro foglio l’ha eretto a fondamentale elemento scenografico d’una scena esoterica, ponendo le silhouettes di due personaggi ammantati di nero in piedi su un vasello dantesco che trascorre davanti alla costruzione torreggiante immersa in un alone di fosco mistero. Uno dei due figuranti pare chiuso in se stesso, l’altro, che gli sta davanti, ha il braccio teso orizzontalmente, per qualche cerimoniale iniziatico, sul quale è posato the raven.
Nell’ultimo biennio Rosellini si è dedicato soprattutto a quelle che potremmo definire “estasi veneziane”. In Ed è subito sera il vaporetto che sotto un tramonto sanguigno scivola silente davanti alla sagoma buia della Chiesa del Redentore pare la catabasi wagneriana del Vascello Fantasma, spersa in una deserta malinconia.  E, sempre controluce, in un Tramonto veneziano ramato si disegnano su tre piani prospettici, rispettivamente, la fascia scura, indistinta, degli edifici della Giudecca, la mole più leggibile di Punta della Dogana e della Basilica della Salute, infine, incassato nell’angolo destro del foglio, uno scorcio del pettine di gondole.
​Un labirinto di bricole sulle quali risplende una festa di lampioni movimenta Canali al crepuscolo, segnato sul fondo da profili lineari di cupole e campanili.
Splendida nel Canale della Giudecca è l’accoppiata frontale tra il rimorchiatore chiaro e la nave ferrigna, campita sulla distesa  lagunare chiusa a destra, in lontananza, dalla torre del Mulino Stucky. Splende sull’acqua una luce abbagliante, si spalanca nel cielo bigio di nubi un ampio squarcio rossigno proiettato dal disco del sole calante. Il movimento delle due imbarcazioni verso l’osservatore ha ritmo epico, evoca con impianto monumentale un possente canto del mare. La composizione sarebbe stata influenzata – secondo il racconto di Rosellini – da un dipinto di Turner,  tradotto peraltro con impeto plastico e raffinato virtuosimo tecnico.
Il taglio cinematografico di queste immagini scenografiche, barocche e fastose, mi ricorda per ricercatezza figurativa e per il prezioso gioco del controluce i film holliwoodiani anni Trenta Disonorata, Shangai Express, Venere bionda, Capriccio spagnolo del regista tedesco Josef von Sternberg. Volendo restare nell’ambito dei paragoni filmici, l’ardita inquadratura della colonna con il Leone di San Marco, nello scorcio di un arco ogivale, ha qualche affinità con la raffinata ricerca figurativa compiuta da Orson Welles nell’Othello o addirittura, risalendo indietro nel tempo, con le ardite “sineddochi” del grande maestro russo Sergej Ejzenšenstejn, che isolava alcuni particolari per rappresentare il tutto, in questo caso evocando le architetture gotiche sul Canal Grande.
Sono tutti materiali oggettivati, che, assimilati e interiorizzati, portano alla loro sublimazione simbolista, in una attonita, stupita, fissità  lirica.

Licio Damiani
​febbraio 2016
​
(*) Testo critico per la monografia "Marco Rosellini - I colori del nero"
​


Immagine
Licio Damiani, dopo la laurea in Giurisprudenza conseguita presso l'Università di Trieste, ha iniziato la carriera di giornalista professionista al Gazzettino concludendola alla RAI come Capo Servizio.
E’ autore di due volumi sull’Arte del Novecento in Friuli, e di numerose monografie e saggi su pittori, scultori, architetti. 
Ha realizzato documentari per il cinema e la televisione e ha pubblicato libri di narrativa, di poesia e di viaggio.
​Fa parte dell’AICA, l’Associazione Internazionale dei Critici d’Arte, e
scrive per quotidiani e riviste. 
​Nato a Lussinpiccolo, vive a Udine.

Foto
Foto
                                                    Marco Rosellini                                                                         Fantasie ed enigmi nei colori dell'inchiostro nero  (*)

Rosellini, raffinato interprete della pittura figurativa ad inchiostro, utilizza esclusivamente l’inchiostro nero che, steso sulla carta in presenza di acqua e di opportuni reagenti, compie straordinari viraggi verso altre cromie, evolvendo così in tonalità di grigio, di rosso, di verde, di marrone, di giallo e di blu. Così, dal buio, riemergono diverse sfumature di colore che conferiscono luce e movimento a tutte le sue composizioni.

Marco viene dal Design, attività che abbandona nel 2013 per dedicarsi esclusivamente all'attività artistica. Le opere esposte sono state prodotte negli ultimi tre anni; i soggetti protagonisti sono le vedute di Venezia e la sua laguna (che facilmente si presta ad interpretazioni metafisiche), ma anche paesaggi spiccatamente metafisici, dove compaiono elementi di fantasia, ma non casuali, collocati in spazi precisi e verosimili. Tutte le vedute hanno in comune il fatto di emergere dall’acqua per compiersi poi nel vasto cielo, dove si incontrano elementi che rimandano al volo, come mongolfiere e aeroplani d'antan. L’uscita dall’acqua è dunque duplice: le forme affiorano dalle superfici lagunari, così come il colore emerge dalla superficie bagnata della carta come conseguenza dei lavaggi operati sull'inchiostro nero.

Le immagini di Rosellini invitano lo spettatore ad evadere dalla realtà, in uno slancio verso quell’altrove a cui esse stesse tendono. Nei sottili lembi di terra appaiono fantasiosi elementi caratterizzanti il paesaggio africano, tanto caro all’autore, come ad esempio gruppi di elefanti erranti, palmizi e baobab, e al tempo stesso enigmatici dettagli sottratti alle fonti più disparate, come il leonardesco Uomo Vitruviano, i poliedri di Luca Pacioli per lo stesso Da Vinci, oppure  il monolite di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick.

                                                           >>  <<

I COLORI DEL NERO di Marco Rosellini è la mostra che chiude la rassegna IL MUSEO IN VETRINA, appuntamenti con l’arte contemporanea a cura di Artika Eventi 
presso Ca' dei Carraresi in Treviso.


Daniel Buso
gennaio 2016
​


(*) Testo per il flyer della mostra personale "I COLORI DEL NERO" (Treviso - Ca' dei Carraresi - 16/31 gennaio 2016)

​
Foto
Daniel Buso, laureato in Storia dell'Arte Contemporanea a Venezia all'Università di Ca' Foscari, dopo gli studi ha iniziato a collaborare con Ca’ dei Carraresi per l’organizzazione di mostre internazionali. E' critico d’arte e si occupa della stesura di cataloghi di arte moderna e contemporanea. E' direttore artistico di Artika Eventi, un gruppo culturale che si occupa di allestimento e curatela di eventi espositivi di arte contemporanea in prestigiose sedi a Treviso e provincia e sul territorio nazionale (Venezia, Roma, Milano).
​Vive a Treviso.
​

Immagine
Immagine
Foto
Foto
Foto
                                                   I colori del nero  (*)

Nel mare magnum dell’arte contemporanea è spesso difficile identificare con precisione delle opere, attribuendole ad un autore in particolare. Molti artisti infatti tendono a seguire le correnti piuttosto che fermarsi su un’isola propria, nella quale sopravvivere nell'attesa di essere trovati, o meglio riconosciuti. Al contrario, la volontà di esprimersi con riconoscibile originalità è stata sicuramente il punto di partenza di Marco Rosellini che, al termine della sua quarantennale attività lavorativa come designer, ha ha svolto una preventiva ricerca sul come poter fare del suo talento artistico, talento che lo accompagna da tutta la vita, un’arte capace di distinguersi attraverso una tecnica particolare che esaltasse le sue straordinarie capacità di disegnatore. Padroneggiando una tecnica esclusivamente sua, Rosellini riesce a fare dei suoi disegni qualcosa di unico e perturbante attraverso l’uso del solo inchiostro nero. E questo perché, oltre a cogliere il chiaro invito ad evadere da questa realtà per entrare in altre dimensioni, lo spettatore è chiamato a cimentarsi nel riconoscimento di tutte le sfumature tonali e delle cromie che Rosellini riesce sorprendentemente ad estrarre, attraverso una tecnica assai sofisticata, dal nero iniziale. La prima impressione è che il pittore, dopo aver studiato a lungo il nero cromatico, abbia iniziato con esso una sorta di danza raggiungendo un pieno equilibrio decorativo e compositivo.
Se ci concentriamo invece sui soggetti rappresentati, di primo impatto potremmo individuare delle reminiscenze surrealiste in tutte le sue opere, ma è lo stesso autore a non voler accostare i suoi dipinti a questa corrente pittorica e al suo stile. Rosellini non ama il Surrealismo, o meglio non accoglie quella sua tendenza a sconvolgere l’osservatore con la forza di un subconscio che sulle tele viene lasciato esprimersi senza limite e controllo, ciò che egli ricerca è invece la piena consapevolezza di quello che rappresenta e del suo significato: nonostante si tratti sempre di una realtà metafisica, ogni elemento è così studiato, curato nei suoi dettagli, e collocato in un contesto ben definito per formare una composizione di significati che vanno ad espletare tutto il senso dell’opera. L’osservatore, conseguentemente, ha la possibilità di entrare nei limbi metafisici lambiti dal pittore, nei paesaggi lagunari dove su sottili fasce di terra appena affiorante si possono trovare palmizi, baobab e gruppi di elefanti erranti, visioni espressive  dell’amore intenso per l'Africa primigenia, dove sopra le acque il cielo viene solcato da mongolfiere e areoplani d'antan che si allontanano verso un orizzonte che conduce molto probabilmente ad un’altra realtà metafisica. Il volo ma anche la presenza dell’acqua sono i temi pervadenti tutta la produzione pittorica di Rosellini che, pur essendo nato e cresciuto a Treviso, sembra aver ereditato molto dell’amore che la madre veneziana aveva per la sua città; ed è infatti Venezia e la sua laguna ad essere protagonista dominante nelle sue opere. Le vedute lagunari sono perturbanti, a tratti malinconiche, dove tuttavia trova sempre spazio quella fascinazione metafisica tanto propria della città che Rosellini riesce pienamente ad evocare. Il resto è pura sensazione, pura fantasia, in cui l’osservatore può essere coinvolto lasciandosi affascinare. Basta superare con lo sguardo la rete posta in primo piano e avventurarsi nei dettagli minuziosi di questi straordinari paesaggi, che sono il vero specchio di un artista che con le sue opere ci porta nel suo grande viaggio di evasione nel quale ricompone, in visioni oniriche senza tempo, e talvolta enigmatiche, le immagini della memoria.

Ann Marcoleoni
​gennaio 2016

(*) Recensione per la mostra personale "I COLORI DEL NERO" (Treviso - Ca' dei Carraresi - 16/31 gennaio 2016)
​


Immagine
Ann Marcoleoni al tempo laureanda in Conservazione e gestione dei beni culturali all'Università di Ca' Foscari a Venezia, come stagista presso Artika Eventi ha collaborato con Daniel Buso alla curatela della mia mostra personale "I colori del nero" (Treviso - Ca' dei Carraresi - 16/31 Gennaio 2016) distinguendosi per intelligenza e sensibilità operativa.
​Vive a Preganziol.

Foto
Foto
Immagine
Immagine
 ​                                       La poesia sfumata nel nero  (*)

Inseguire l’orizzonte in balia del vento, senza sapere se  dove o quando arriveremo, talvolta in un’assai esplicativa compagnia di mongolfiere, di pionieristici velivoli o anche di aquiloni, alla ricerca di un altrove di speranza.
Questa la chiave di lettura dell’esperienza pittorica di Marco Rosellini, per il quale il disegno è sempre stato lo strumento espressivo prediletto, sia da bambino che in giovane età, attraversando il lungo periodo della sua professione di designer fino ad arrivare a questi ultimi anni che hanno visto sbocciare il suo stile in forma d’arte. Uno stile di cui la raffinatezza compositiva, l'unicità tecnica, padronanza esecutiva sono i tratti distintivi, e tramite il quale Rosellini esprime sulla carta la sua poetica, nella quale brilla come una lucerna nella notte l'irrazionalità dell’inconscio. La sua è una pittura figurativa soltanto nell’apparenza: i soggetti rappresentati travalicano le limitazioni del reale, proposti a chi osserva come librati in silenziosi "limbi metafisici" (così definiti dallo stesso Rosellini) nei quali tutto appare in sospeso.
Oggetti appartenenti alle più disparate esperienze visive vengono oniricamente assemblati. Oltre un nero cancello enigmaticamente chiuso sul nulla, si scorgono il monolito di  2001:Odissea nello spazio  e dei palmizi. Elefanti camminano in prossimità di una laguna dominata dal leonardesco Uomo vitruviano, sulla quale si spalanca un altro cancello che, altrettanto enigmaticamente, è divelto. I cavalli di San Marco incedono nella magica oscurità di un’eclissi. Un evanescente dodecaedro si libra in un cielo mattutino sopra i moai dell’isola di Pasqua e i suoi estinti palmizi. Una bruna mongolfiera trasporta sopra di sé un castello. Baobab, che si ergono con i loro rami simili a radici protese verso l’immensità del cielo, sembrano rispondere a chi si domandi da dove veniamo.
Una metafisicità di contenuti, non delle forme, è sempre presente, pervadente e ben avvertibile, contestualizzata e dettagliata nei paesaggi solitari velati di malinconia che la fantasia dell’artista trasfigura.
L’estrema eleganza compositiva ed espressiva è esaltata da una tecnica assai singolare che si avvale di inchiostri policromatici neri fatti virare in delicate nuances e, talora, in decise cromie, da successivi interventi con reagenti e decoloranti.
Una tecnica nella quale l'inchiostro nero, la mancanza di luce, il non colore, è sorprendentemente trasformato esso stesso in luce e colore, divenendo testimonianza dell’originalità di un artista che porta l’osservatore alla scoperta della potenzialità espressiva di questo  medium  in una sua inaspettata pienezza e complessità.

Elena Miatto
​gennaio 2016

(*) Recensione per la mostra personale "I COLORI DEL NERO" (Treviso - Ca' dei Carraresi - 16/31 gennaio 2016)
​


Immagine
Elena Miatto studia Conservazione e gestione dei beni culturali presso l'Università di Ca' Foscari a Venezia. Stagista presso Artika Eventi ha affiancato Daniel Buso nella curatela della mia mostra personale "I colori del nero" (Treviso - Ca' dei Carraresi - 16/31 gennaio 2016) nel corso della quale ha saputo rendere preziosa la propria collaborazione. 
​Vive a Peseggia di Scorzè.

Immagine
                                                     Neri sussurri    (*)
                                                                                
                                        Supponete che io dica: “questa toga è nera”.
                                        La parola “nera” in un certo senso è arbitraria.
​                                        Ludwig Wittgenstein    
 
                                        (da “Osservazione sui colori”, Torino Einaudi,  2000).

Il percorso che porta due esseri umani, e quindi due anime, a incontrarsi, riconoscersi e perciò trovarsi, è spesso affidato al caso. Ma è anche pur vero che, se i personali percorsi (pur partendo da lontano, aprendosi e biforcandosi nell’unicità propria) tendono verso uno zenith, possono intersecarsi. Allora quel destino è aiutato dall’opera, dal gesto, in cui ognuno dei protagonisti si riflette, e in esso, vi si riconosce.
Così è per l’epifania amorosa, in cui due creature, sino ad allora sconosciute l’una all’altra, si aprono, con fiducia, per fondersi nel più sublime dei sentimenti. Così per l’amicizia. Così nell’incontro dei segni che, già a un primo sguardo o lettura, evocano qualcosa di nostro, profondo e, a volte, persino sconosciuto. Signum che ha la forza di attrarre e unire fra loro due esperienze umane.

Sono entrato in contatto con l’arte apparentemente monocromatica di Marco Rosellini proprio in virtù di uno dei casi suddetti. 

Due anni orsono, alcuni amici artisti del paese in cui ho speso gran parte della mia esistenza, mi chiesero di far parte della giuria di un modesto premio di pittura. Convinti, come lo sono anch’io, che ogni giuria d’arte non dovrebbe essere composta solo dai cosiddetti “addetti ai lavori”, ma aprirsi invece pure ad appassionati di arti consorelle: musicisti, poeti, danzatori, ecc… Accettai l’invito e, quando ci riunimmo per esaminare le opere giunte, non trovammo alcuna difficoltà a decidere a chi assegnare il premio. Un’opera svettava su tutte, sia per originalità che per qualità. All’unanimità conferimmo il primo premio a Marco Rosellini, un artista allora sconosciuto, anche per quella manciata di giurati che, ben più del sottoscritto, conoscevano il movimento degli artisti che erano soliti confrontarsi in regione, sia ai concorsi che alle collettive.
L’opera in questione, intitolata: “I lampioni di via Gera nel volo dell’immaginazione”, tratteggiata a inchiostro nero su carta, rappresenta lo scorcio della via che conduce alla chiesa del paese, vista di sera, contro un cielo rannuvolato, i lampioni accesi; alcuni di quei lampioni, per un gioco suggestivo, mutano in mongolfiere simili a lampade cinesi per sollevarsi verso un altrove meno costrittivo, aperto alla possibilità di un onirico tutto da immaginare. 
Mi fu assegnato anche l’incarico di redigere la motivazione. Compito che assolsi con piacere e convinzione. La riporto perché, ciò che allora era solo l’impressione prima a un solo tassello, è stata successivamente suffragata nel confronto con l’opera totale di Rosellini artista, e nella conoscenza di Marco, come uomo.

“Per la visione poetica e immaginifica, e per la capacità di scorgere la possibilità di un'ascesa dello spirito nel buio serale di un paese vuoto di presenze umane. Il lavoro di Marco Rosellini, fiabesco e utopistico, dove il colore sarebbe apparso blasfemo, unisce tutto questo ad un segno maturo, creatore di suggestione e rasserenamento in un'epoca così inquieta. L'opera vince e convince, dimostrando che non occorre cercare chissà quali artifizi per fare poesia con l'arte: basta guardare le cose, talvolta anche le più comuni, e saper immaginare qualcosa che oltrepassi la siepe del consueto”. 

Ma c’era di più. Nella cifra del segno roselliniano, io scoprivo una poetica che mi apparteneva, che parlandomi a bassa voce, in qualche modo, diceva di me.
Diceva del ragazzo che ero, inquieto e aperto al sogno, ma imbrigliato nel buio culturale di un paesino di provincia, chiuso quotidianamente nel nerume di un capannone, fra l’asfalto contiguo alla chiesa o ai tre bar. Della lampada serale che illuminava l’inchiostro delle parole in cui trovavo senso e rifugio, prima nei libri che leggevo come per cercare una via mia, un salvacondotto per uscire da un recinto sempre più soffocante, poi in quelle che scrivevo, nei segni ad inchiostro con cui riempivo ossessivamente i fogli di un notes, trasferite poi nelle pagine dei libri che ho pubblicato, che mi hanno permesso di sollevarmi, di staccarmi da qui pur restandovi, cercando di rapire al luogo le bellezze custodite sotto il cemento e l’asfalto di un nord est tutto votato al profitto, che macinava merci e anima, accecando il sollievo necessario per sopravvivere. 

                                                               ***

Altri nessi uniscono me e Marco. Il suo lavoro con carta e inchiostro, così simile al lavoro di un poeta: stessi gli strumenti, sorella la visione. Sarà poi un caso che la mia prima vera raccolta poetica si intitolasse “Il colore delle parole”, e questo primo vero catalogo di Rosellini si intitola “I colori del nero”? 
Io, attraverso la poesia, cercavo di spremere dalle parole, che sulla carta sono sempre nere, il succo iridescente che trattenevano al loro interno, quando esse erano estratte dall’erba o dal muschio a me così cari, da una carezza o da un bacio, come dai barbagli scintillanti nel buio. Così Rosellini, attraverso l’uso dell’inchiostro nero policromatico (ottenuto cioè da un miscuglio di vari pigmenti), procedendo a dilavamenti e strofinamenti con liquidi puri come l’acqua o aggressivi e corrosivi come solventi e detergenti, separa ed estrae le preziose vene cromatiche o l’arteria principale, la traccia di luce che il nero composito inglobava insieme alle altre.
Ma il nero resta principe sulle carte di Rosellini. Come lo è nelle pagine dei miei libri. 

                                                               ***

Marco Rosellini arriva tardivamente all’arte figurativa come certificato da presentare al pubblico, ma dopo un apprendistato, se così si può definire, durato una vita.  Designer e architetto di professione, dopo un contrattempo che l’ha reso afono, affida all’incontro fra l’inchiostro e la carta, il suo messaggio di speranza e rinascita. Ed è davvero stupefacente ciò che quest’uomo esile, dal volto incavato che a volte si apre in sorrisi splendidi e sinceri, quest’uomo che non può alzare la voce oltre il sussurro, è riuscito a creare in soli tre anni: tanto è breve il tempo intercorso fra i primi timidi disegni e l’audace e riuscita ricerca chimico-alchemica dell’opera che qui si presenta, condensato di un lavoro più ampio e suggestivo, che sancisce l’originalità e la bontà del suo percorso artistico. Che sigilla la stima e l’amicizia di chi scrive verso chi traccia, di chi scrive e dice a voce le sue parole, verso chi dipinge e tace o, al massimo sussurra. Fra chi sillaba i suoi versi con l’inchiostro, e chi sussurra ad esso un rosario di segni poetici.

                                                               ***

L’opera di Rosellini, apparentemente figurativa, muove un discorso che dalla tangibilità del realistico si stacca verso un immaginario che, sfiorando le ali dell’onirico, si apre a un altrove che sa essere palpabile pur mantenendo intatta la sua scivolosa inafferrabilità. Nei suoi paesaggi sospesi fra l’acqua e il cielo, i due elementi che consacra come arcani messaggeri di un viatico verso i lidi dell’immaginazione e della libertà, il nero si scioglie in lacrime, sbiadisce nel giallo o nell’azzurro, nel verde o nel rosa.
Nelle sue prospettive sceniche versus gli azzurri del creato, spesso vi campeggiano in primo piano simboli che trattengono: lacerti o brandelli di rete di contenzione e recinzione, colonne con o senza cancelli (naturalmente chiusi), bitte, briccole, cordame, balaustre, staccionate, pontili o fondamenta veneziane…, ma più in là, fra l’azzurro liquido e quello impalpabile, pulsa sempre l’accenno che veicola il pensiero verso una lontanìa (per dirla alla Biagio Marin, un uomo che alle acque e ai cieli ha affidato un canto eterno, un poeta che sento ancor più vicino, per temi e figure, ai lavoro di Marco), espressa anche nelle figure della palma o del baobab, degli elefanti, di una terra mitica e materna, matrice della vita, dove l’inquietudine randagia di questo tempo potrà, forse, trovare il suo sacro alveo, il suo nido di serenità. Pensiero, o meglio sentimento, raffigurato in presenze aeree: dirigibili, biplani, mongolfiere, aquiloni, uccelli o globi rocciosi sospesi, presi sempre nel volo che va, mai in quello che viene, sovrastanti lagune popolate da velme e barene, da casoni in parte sommersi, barche in secca o ancorate a un filo di corda. Come se fosse solo nell’elemento aria, così etereo ed enigmatico, la possibilità dell’evasione; come se anche l’acqua, pur così cullante, arcana e cara a Rosellini, imbrigliasse il pensiero in un fondale limaccioso, nel pantano dove, soli esseri alati, possono zampettarvi gli esili trampoli degli aironi o dei fenicotteri, non certo corrervi gli angeli o le fenici per la rincorsa ad un decollo. 
Ma chi cerca il volo a quell’altrove in un territorio salvo e libero dai vincoli consueti nei cartigli di Rosellini? Raro rilevare presenze umane anelanti a quest’isola di quiete. 
È il pensiero. 
Il nostro pensiero costretto dai mille vincoli, dalle pastoie dell’egoismo che lo trattengono basso, radente, appesantito dalla zavorra delle cose inutili che abbiamo scambiato per necessarie, così incapace ora di innalzarsi sopra le macerie della verità e le miserie che abbiamo così tenacemente e ottusamente edificato.
Marco Rosellini ha sussurrato all’inchiostro questa levità. Le sue specula su carta sono le radiografie di un corpo, di una mente che sanno ancora sognare e immaginare. 
Lo ha fatto per noi. 
E noi gliene siamo grati.

Fabio Franzin
​novembre 2015
​
(*) Testo critico per la monografia "Marco Rosellini - I colori del nero" in corso di preparazione  per la stampa.
​
​
Immagine
Fabio Franzin, nato a Milano, si trasferisce giovanissimo nella pianura trevigiana mentre è in corso la radicale industrializzazione del Nord-Est, prima a Chiarano, paese di provenienza del padre, e poi a Motta di Livenza dove attualmente risiede. All'età di 16 anni inizia a lavorare come operaio in una fabbrica di mobili, attività che esercita tuttora.
Inizia a pubblicare poesie a partire dagli anni Duemila, con una lunga serie di raccolte, prevalentemente scritte nel dialetto trevigiano dell'area compresa tra Oderzo e Motta di Livenza, ma anche in italiano. 
Nel 2002 vince il premio "Ugo Foscolo" con la silloge Il centro della clessidra e nel 2004, con Canzón daa Provenza (e altre trazhe d’amór) il premio "Edda Squassabia". Nello stesso anno per Il groviglio delle virgole gli viene assegnato il premio "Sandro Penna - sezione inedito". La raccolta Mus.cio e roe (Muschio e spine) lo porta a vincere nel 2007 il "Premio San Pellegrino Terme" e il "Superpremio Insula Romana", e nel 2008 il "Premio Guido Gozzano" e il premio speciale della giuria "Antica Badia di San Savino". Nel 2009 esce Fabrica, il suo libro più apprezzato, che Stefano Colangelo definisce «forse il miglior libro di poesia italiana dell'ultimo decennio, in cui lo stile (lingua, metrica, ritmo) riproduce la serialità della realtà lavorativa, descritta e nominata con una lingua esatta ed essenziale, enucleata nei luoghi, nei tempi, nelle pause produttive, nei vari stadi dei processi di produzione». Con esso vince il "Premio Pascoli" e nel 2010 il "Premio Baghetta". La raccolta del 2011, Co’e man monche (Con le mani mozzate), prosegue l'esperienza operaia di Fabrica, esprimendo drammaticamente l'inasprirsi della condizione operaia, contraddistinta da licenziamenti, mobilità e disagio sociale.
Nel 2014 è primo classificato al "Premio Poesia Onesta" con la silloge inedita I nòvi vinti (I nuovi vinti). Nel 2015 ha pubblicato Sèsti (Gesti).
E' redattore della rivista di civiltà poetiche "Smerilliana", e suoi testi sono presenti in numerose riviste e antologie.

​Ed è mio amico.

Immagine
Immagine
Immagine
Immagine
                                                   Marco Rosellini
                                              un nuovo associato (*)

Il Movimento Arte del XXI Secolo dà il suo benvenuto a Marco Rosellini, artista convinto di essere un mediocre pittore la cui opera dovrebbe essere distrutta.
 Lascio giudicare a tutti quanto vale invece un’espressione stilistica come quella che presentiamo. Uno stile che si propone solitario per modi ed accenti nell’ambito dell’attuale paesaggismo, interessante non solo per l’aspetto meramente visuale ma anche per i motivi che lo nutrono e lo caratterizzano. L’originalità nella scelta degli scorci, la delicatezza del tratto, la minuziosa ricerca delle rifiniture, la poesia profonda fanno di ogni opera un piccolo universo di contemplazione e di partecipazione. 
In alcuni momenti Rosellini sembra toccato dalla grazia di Wang Wei, il più grande pittore cinese, di cui restano solo le poesie e infiniti giudizi encomiastici sul suo lavoro di pennello. Molti esegeti si soffermano sui particolari, gli stessi che possiamo trovare secoli dopo in questo pittore che vorrebbe uccidere la sua opera. 
Si contempli, per fare un solo esempio, la sequenza dei tre “Vischi”: foglie dipinte una ad una, con un gusto struggente del particolare, la propensione a farsi lui stesso foglia per condividerne la meraviglia botanica. E ancora le piccole bacche biancheggianti, accarezzate con mano soave; e la perfezione e la varietà dei vasi. 
Occorre inoltre sottolineare l’estrema parsimonia nell’uso del colore, spesso tendente al monocromo; ciò che talora insinua sensi di profonda malinconia, come nella desolata scena di “Sul Delta”. 
La stessa raffinata scala cromatica, affidata a minime “nuances” di tono, si manifesta in tutto il suo fascino nelle indimenticabili vedute di Venezia, vertice di un paesaggismo singolare ed elitario, disinvoltamente in grado di passare dalla carezza di un fiore alla concretezza delle grandi architetture. 
Benvenuto, Marco! 

Aldo Maria Pero
​settembre 2015


​(*)  Recensione di presentazione e benvenuto in seguito all'accettazione     della domanda di iscrizione al 
Movimento Arte del XXI Secolo.


Foto
Su Aldo Maria Pero vedi sopra, al titolo : Marco Rosellini - "Punti di vista" 

Immagine
Immagine
Immagine
                                                   Marco Rosellini  (*) ​

Marco Rosellini possiede un talento d’altri tempi. Le sue opere trasudano di paziente dedizione alle tecniche grafiche e di lunga meditazione sul medium complesso che ha scelto di utilizzare.
Avvicinandosi sensorialmente ai suoi lavori capita di restare sopraffatti dal connubio creato tra semplicità delle immagini e difficoltà tecnica presupposta alla loro realizzazione.
Una parte consistente della sua poetica fa riferimento a paesaggi lagunari, territori paludosi in cui la presenza umana appare soltanto suggerita, evanescente. I suoi scenari, in questo caso, pur essendo ispirati a spazi reali, acquisiscono una dimensione di ambiguità e mistero; come se dietro ad ogni immagine si celassero contenuti imprevisti, sempre sul punto di rivelarsi al nostro occhio.
La ricerca di una dimensione di quiete atmosferica viene spesso impreziosita da alcune apparizioni. Mongolfiere che trasportano città, torri e colonne scolpite che si innalzano al di sopra di specchi d’acqua. In alcuni casi Marco spinge la sua arte verso i confini del surrealismo, riempiendo le immagini di soggetti improbabili come cancelli aperti verso il nulla o la fluttuante apparizione dell’uomo vitruviano.
Lambendo i confini della surrealtà, Marco, silenziosamente, ci introduce con forza nei meandri della sua produzione, finendo per ammaliarci. Con entusiastico fervore analitico ci accingiamo così a tentare di interpretare i suoi segnali, riempiendoci di interrogativi. Dove portano le mongolfiere? Che funzione hanno i cancelli aperti sugli specchi d’acqua? Perché gli elefanti solcano i paesaggi lagunari in lontananza?
I misteri, abbozzati dai simboli scelti, sono individuabili nei precedenti maestri del Surrealismo. Dagli elefanti di Dalì, per i cancelli enigmatici di Magritte. Potremmo forse ripercorrere le scelte di Marco seguendo gli esempi di chi è venuto prima. Oppure, semplicemente, tuffarci nelle sue visioni, cercando di lasciar affiorare l’entusiasmo certo che ne consegue.
Marco possiede una visione chiara degli spazi. Capacità che, sostenuta da un’ottima conoscenza delle tecniche grafiche, gli permette di creare uno spazio sempre verosimile entro cui poter collocare le fantasie oniriche. Iperrealismo surrealista, questa potrebbe essere scelta come etichetta (seppur parziale) a sostegno di un’analisi critica del suo operato. Ogni sagoma, ogni paesaggio scenografico è restituito con dovizia di particolari e nitidezza espressiva; attraverso l’inchiostro.
Ed eccoci arrivati alla tecnica, vero punto di forza di Marco.
L’anacronistico impiego di un medium oggi ampiamente sostituito dal digitale, almeno nel campo della scrittura, ci rivela il carattere stilistico del suo operare: un’oscillazione costante tra una pittura di lirico paesaggismo tradizionalista e la volontà di afferrare una dimensione più attuale, fatta di contaminazioni di diversi elementi figurativi. È proverbiale l’attenzione che Marco riserva ai materiali utilizzati, riportati nei titoli con minuzia; corollari indispensabili a carpire il senso stesso della sua poetica. Leggiamo così nei suoi quadri:  Inchiostro stilografico Lamy nero su carta Canson Montval grana nuvola 270 g/mq oppure Nero cromatico da inchiostri stilografici Diamine.

Sfogliando rapidamente il catalogo delle sue opere troviamo alcuni leit motif iconografici che, oltre ai già citati elefanti e cancelli acquatici, si riferiscono alla passione e al sogno del volo.
L’aeroplano, come emblema della modernità, che solca un simbolo del passato: la rocca posta a salvaguardia di un giardino segreto che si intravede alle sua spalle.
La mongolfiera che procede lentamente sopra il profilo della laguna. L’aquilone che vola leggero sopra il casone immerso nel Delta del Po.

Oltre al volo, troviamo altri elementi su cui soffermarci. La rete, ad esempio, impressa nel primo piano dell’immagine, sembra acquisire la funzione di protezione, per mantenere l’inviolabilità di un luogo che non è solo paesaggio, ma serbatoio di ricordi e di una memoria storica che non possiamo dimenticare.

Per tracciare un’evoluzione cronologica del suo stile, si potrebbe dire che il percorso di Marco appare assolutamente lineare. Dopo aver acquisito una certa dimestichezza nella rappresentazione del paesaggio (come nella serie "Venezia") e della figura umana (come in "Velme e Barene"), Marco si avvicina progressivamente alla messa in opera del suo universo fantastico; arrivando, nel 2014, alla serie "Lagune" dove incontriamo tutti i riferimenti letterari al tema del volo o alle simbologie surrealiste. Infine, nel 2015, Marco compie un’ulteriore evoluzione, aggiungendo elementi fiabeschi e portando alcune immagini ad una essenziale rarefazione visiva (opere contenute nella serie "Sotto le nuvole").

Un bilancio complessivo della maniera di Marco Rosellini non può che essere positivo, riuscendo, come fa, a catturare la nostra attenzione con il suo tocco di surrealtà, per poi affascinarci con le sue scelte poetiche ed espressive ed infine certificare tecnicamente la misura del suo talento acquisito con la crescita paziente nella conoscenza del medium. 

Daniel Buso
​settembre 2015


(*)  Testo critico per la QUINTA RASSEGNA DI ARTE CONTEMPORANEA a Ca' dei Carraresi (Treviso 5/13 settembre 2015) pubblicato in estratto nel Catalogo ufficiale della Rassegna.
​
​
Foto
Su Daniel Buso vedi sopra, al titolo : Marco Rosellini - Fantasie ed enigmi nei colori dell'inchiostro nero

Immagine
Immagine
Immagine
                                                        Lagune  (*) 

Artista sensibile e raffinato, Marco Rosellini dà vita a composizioni ricercate e declinate intorno a  soggetti sempre estremamente simbolici e rappresentativi. Partendo da una configurazione reale, Marco Rosellini supera l’aspetto fenomenico attraverso l’innesto di elementi spesso legati ad una sorprendente fantasia proiettiva. Il risultato finale approda a molteplici orizzonti interpretativi resi ancor più preziosi dall’utilizzo di inchiostri neri cromatici stesi con grande sapienza ed abilità. 
La città di Venezia e la laguna sono scenari inseguiti ed amati, felicemente trasfigurati da un gioco continuo di presenza-assenza, di realtà-finzione che si materializza sulla carta in un caleidoscopico incontro di riflessi e trasparenze.
Capita frequentemente che volumi perfetti e dettagli architettonici ricercati convivano assieme ad animali esotici o rari, a specie arboree comuni o d'oltremare, in una combinazione rara e affascinante di perturbante quotidianità e modernità. I brani di cielo, ampi e dilatati, sono spesso invasi da mongolfiere, paradigmi felici di sollevamenti tellurici, di zolle terrestri catapultate in un mondo altro, in un limbo metafisico e siderale dove tutto è possibile, anche la quieta bellezza.
La perizia grafica e l’esattezza, quasi fiamminga del di-segno e dei profili, rendono l’opera di Marco Rosellini un compendio straordinario di forme suggestive ed eleganti, nostalgiche e profonde, segno tangibile di una mente fertile che l’urgenza creativa traduce e giustifica pienamente. 

Lorena Gava
​novembre 2014
  

(*)  Testo critico per la mostra personale "LAGUNE" (Udine - Galleria La Loggia - 22 novembre/10 dicembre 2014).
​
Foto
Su Lorena Gava vedi sopra, al titolo : Alle Colonne d'Ercole
Foto

TORNA SU
Proudly powered by Weebly